La sua Biografia
nata a Bologna e vive e lavora a Sasso Marconi (BO)
E’ un’autodidatta.
La dote naturale di attitudine al disegno dell’infanzia si arricchisce
negli anni con lo studio approfondito della pittura ad olio e della
storia dell’Arte, avendo come unico maestro lo sguardo attento e
appassionato per le opere del passato e contemporanee viste nei musei e
nelle gallerie del mondo.
La sua pittura ha la vocazione di condurre ad una riflessione intima,
dove prevale una presenza femminile dotata di una misteriosa
fascinazione. Protagoniste infatti sono spesso bambine bellissime con
sguardi austeri ed algidi, sospese tra scenari metafisici e riferimenti
simbolici che ci conducono alla ricerca del sorprendente mistero del
“passaggio”, del tempo fugace, del senso dell’attesa e del temuto
cambiamento.
I titoli delle mostre personali che seguono negli anni, riflettono
questo tema preferito. Sono infatti: “In cerca di Alice”, “Prima
colazione”, “Caro papà”, “Ho ucciso Biancaneve”, “Teatro intimo”, “Nelle
molte stanze”, “Rosa-Rosae”, “Ma-Donne”, “Incanto e incantesimo”, ecc…
Numerose sono le esposizione in collettive e personali dal 1982 ad oggi,
tra cui negli anni 2000 alla galleria Ariete e Galleria Forni di
Bologna, al Leudo di Genova e alla Davico di Torino. Seguono mostre in
sedi istituzionali come Rocca Paolina di Perugia, Palazzo dei Pio a
Carpi , Grattacielo Pirelli di Milano, Palazzo Albertini di Forlì,
Palazzo Durini di Milano, Castello Orsini Di Soriano Cimino (VT),
Palazzo Bottini a Lucca, Fortezza S.Leo a Rimini, Palazzo Zanca di
Messina, Palazzo Valmarana Braga di Vicenza, Museo Diocesano di Catania,
Complesso monumentale S.Leucio Caserta, Museo Bargellini Pieve di Cento
Ferrara, Fortezza Vecchia di Livorno, ecc
Nel 2011 è invitata da Vittorio Sgarbi a partecipare alla 54° Biennale
di Venezia per il Padiglione Italia sez. Emilia Romagna a Palazzo
Pigorini di Parma con l’opera “Luna Park”.
Sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche come il Museo di
Cà La Ghironda (BO), il Museo di Logudoro (SS), la Quadreria
dell’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara, la collezione dell’Hotel
Albornoz di Spoleto e la Collezione Permanente di Costa Crociere sulle
Navi Costa Deliziosa e Costa Fascinosa.
Hanno scritto della sua pittura
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….il contesto in cui Serenari opera e crea può
essere interpretato come la concretizzazione oggettiva di un impulso
intimistico e romantico, e tuttavia permane ammirevole il segno
inconfondibile di un’idealità connessa a valori plastici che sono
intrinseci alla figurazione, e che si situa ben oltre la semplice
volontà di allestire una visione riconoscibile e rappresentativa.
In questa pittura meditata si aprono infatti sfondi narrativi intensi,
dove prevale una presenza femminile dotata di una misteriosa
fascinazione.
Ogni sua composizione è ordinata in un rapporto antiretorico con la
realtà, che viene riproposta in chiave volutamente statica, come
prodotta da un’appropriazione visiva definita in una temporalità
congelata.
Padrona di un tratto pittorico di indubbio livello qualitativo, ama
analizzare in piena luce le forme più disparate di un mondo concreto ma
incongruo, popolato da emanazioni dei sogni e dei ricordi del
personaggio femminile adolescente che lo abita, e che ha ormai imparato a
dominare la realtà.
L’Alice che vive in questi quadri è forse ancora quella di Lewis
Carroll, poichè dalla memoria del suo lontano viaggio infantile è
rimasto il gusto di reinterpretare lo spazio in prospettive immaginose
di atmosfere sospese e persino metafisiche.
Ma è anche evidente che si tratta di un’ Alice ormai cresciuta, ben
capace di distinguere e di scegliere la parte giusta dello specchio.
Vittorio Sgarbi (tratto da un testo più lungo)
Nel paese delle meraviglie che Roberta Serenari crea, con una capacità
di colore e di volumi che non prescindono dalla tecnica né dal
sentimento o dalla passione, l’intrigante mistero di atmosfere oniriche
si agita all’interno di fredde brezze ibernanti capaci di marmorizzare
le inconsapevoli bambine vestite da quel perfettamente drappeggiato,
soffice velluto rosso, palpabile, come vivo tra le nostre dita.
Visi perfetti trasudano una tensione emotiva tagliente, esprimono una
violenza comunicativa, trasmettendola energicamente senza deludere le
aspettative di chi osserva.
L’artista trasla l’osservatore nel personaggio rappresentato, servendosi
di una calma romantica e di un dinamismo celato attraverso azioni alla
moviola, recitando un rigore formale, quasi teatrale le cui maschere
velano sguardi sospesi o nascosti lasciando lo spettatore appeso, in
bilico in una realtà indecisa tra l’immaginario e il sogno.
Multidirezionale è l’architettura: confonde, diffondendo e raccogliendo,
fa esplodere la scena che si apre come su un palcoscenico nuovo,
futuribile.
Questi sono i labirinti segreti dell’arte di Roberta Serenari, un’arte
nuova pregna di misticismo e magia, affascinante, abbagliante che
promette l’espressione di ciò che in arte vorremmo vedere più spesso:
bellezza suggestiva e tecniche rigorose.
La donna, nelle sue opere, che sia essa bambina o ninfa si fa portavoce
di significati nascosti capaci di aprire un racconto su tematiche
inquietanti, che a volte compromettono l’innocenza e il candore
all’interno dell’universo femminile, infantile.
Roberta Serenari sconfigge tutte le oscurità più tetre servendosi della
migliore arma che può essere brandita attraverso l’arte: La Bellezza.
è infatti proprio attraverso questa continua ricerca che l’artista
riesce a legittimare l’approfondimento della sfera emozionale così come
in effetti emerge da ciò
che lei stessa dice:
“Nel mio “Realismo Magico”, attraverso simbolismi ricorrenti e giochi di
parole, vorrei dare alle mie figure il potere di giocare un ruolo con
lo spettatore … Le bambine che rappresento non sono aneddotiche,
nel loro silenzio e nella loro staticità non raccontano, ma chiedono…
Hanno un’aria consapevole e forse inquietante perché vestite di un enorme potere : tutto deve ancora succedere…
Vengono da un luogo che attraversa il tempo,
lasciando sulla tela la piccola magia di sé.”
Carla Primiceri
Roberta Serenari si è avvicinata alla pittura da autodidatta,
trascorrendo ore nei musei e poi sola, in studio, a lavorare a olio su
tela.
Negli anni è arrivata alla tecnica pulitissima che contraddistingue ora il suo lavoro.
I soggetti si muovono in scenografie metafisiche gremite di oggetti
carichi di significati misteriosi, dalla bambola bendata abbandonata in
una scatola all’uovo di suggestione quattrocentesca.
Anche i colori, dal rosso sangue degli abitini al bianco declinato in
panneggi affilati come lame, appare intriso di valenze simboliche,
mentre le scacchiere e le righe ricorrenti fanno pensare a simbologie
esoteriche.
Protagoniste sono bambine, colte sempre in quell’attimo ineffabile che separa l’infanzia dall’adolescenza.
Altere, prigioniere della loro cristallina perfezione, guardano lo spettatore sfidandolo a penetrare il loro segreto…..
Alessandra Radaelli
….presenze mute ed immobili come icone, sono le fanciulline dipinte da
Roberta Serenari, che da anni ha messo a punto questo suo stile così
prezioso e ricco di virtuosismi tecnici, teso a presentare un epifanico
universo infantile, un’iconografia dell’adolescenza inquietante e ricca
di simboli, che sembra racchiudere il senso del mistero della vita.
Fanciulline metafisiche e surreali, ieratiche come idoli profani, mentre
gli oggetti che le circondano, in equilibrio precario, riflettono un
dinamismo bloccato, un flash, un’immagine strappata ad un battito di
ciglia.
Alle tazze della colazione, la superba pittura per velature della
Serenari, avvicina una forma unica come l’uovo, microcosmo chiuso e
perfetto che vive di autonome sollecitazioni, di speranze conchiuse e
raccolte, di allusioni geometriche e artistiche (l’uovo di Piero Della
Francesca).
Queste fanciulline austere, dal nastrino rosso tra i capelli e
dall’espressione enigmatica, sono immerse nella virginale età dei
giochi, racchiudono in sé il lato femminile e quello maschile,
rappresentato dalle cravatte che compaiono con studiata noncuranza fra i
riferimenti oggettivi: le bamboline di carta, la palla, la giostrina,
le marionette, le caramelle, il manichino femminile, idea di un corpo
che verrà: una stanza dei giochi che guarda al sogno della vita, al
progetto inconsapevole, all’innocenza ancora intatta,visioni di una
fiaba moderna e antica al tempo stesso…
Silvia Arfelli
La pittura di Roberta Serenari, così raffinata e mimetica, dove una
sorta di realismo magico si mescola a qualche opzione surrealista, mi ha
sempre posto qualche problema, non solo estetico, che non esito a
definire cruciale.
Quando Sigmund Freud scrisse il suo saggio sulla Gradiva di Jensen,
affidò alla letteratura, e possiamo ben dire all’arte in genere, una
nuova funzione: non più soltanto quella di mostrare la dialettica della
Storia,come voleva il pensiero marxista, o di rendere concreta la
bellezza, come affermavano i cultori dell’arte per l’arte, ma di mutarsi
in una sonda scientifica, un batiscafo metaforico per esplorare gli
abissi dell’inconscio.
L’opera d’arte, in parole povere, diventava un test virtuale per andare
incontro a quegli esseri mitici, la definizione è dell’ultimo Freud, che
sono gli istinti.
Le bambine della Serenari, così ambigue e stupefatte, così menzognere e
falsamente innocenti, sono in linea con la lezione di Freud, del suo
bambino mostro polimorfo, il selvaggio cattivo dell’adulto civilizzato, e
divergono così da quella riscoperta dell’infanzia come luogo edenico,
che i pittori del secolo appena passato, si pensi a Paul Klee, avevano
fantasticato.
Si scontrano così, agli inizi del Novecento, due punti di vista, da un
lato quello dell’infanzia come un incubatoio di perversioni, e
dall’altro come il regno di un’età dell’oro dell’innocenza, e della
creatività, e mentre l’Edipo di Freud uccide il padre, Felix, il figlio
di Klee, porta il padre nella sua camera dei giochi ad additargli come
esempio i propri disegni infantili.
Le bambine della Serenari sono poste dalla pittrice ad un bivio, che sta
dall’aver veduto la scena primaria, il famoso sguardo dal buco della
serratura nella camera dei genitori, e nell’essere complice della
seduzione dell’adulto, ponendo le manine sul collo dell’uomo con le
caramelle.
La pittura della Serenari è ricca d’implicazioni che vanno, per dir
così, al di là delle opere in loro stesse, da farmi sembrare superfluo
scrivere e lodare il suo magistero stilistico, e la sua straordinaria
capacità, da grande fisionomista, tra Lavater e Darwin, di rendere nei
volti, come in un’allucinata trasparenza, le emozioni, o, se si
preferisce, l’anima.
Osservando i suoi quadri, ben poco importa chiedersi se una
rappresentazione così conforme alla realtà sia moderna, post-moderna, o
comunque futuribile: quello che conta è una sensazione di profondo
coinvolgimento ed empatia.
Le sue bambine sono concrete, viventi, hanno una violenta vocazione a
entrare a far parte del nostro mondo: sono tra di noi, sono noi.
GIORGIO CELLI
Mostra”Caro papà”
Museo Cà la Ghironda Zola Predosa 2006
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