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  Laureata in Lettere con indirizzo Storico/Artistico a Torino, Master “Anticontraffazione delle opere d’Arte” a Pietrasanta, vive e lavora ormai da molti anni a Firenze.

  Oltre la docenza conduce attività di Critico d’Arte e consulente per Artisti, Collezionisti e Galleristi.

  Ha curato e cura personali di Artisti e redige letture, recensioni e cataloghi cartacei per Artisti in tutto il mondo.

  Scrive anche di teatro e per gli attori.

  Collabora con Riviste culturali cartacee e non.



UN SUO TESTO CRITICO -EDGAR DEGAS A FIRENZE

Genesi di un capolavoro

 

Di questo importante artista, del quale ricorrono, in quest’anno 2017, i cento anni dalla morte, si hanno molte notizie, ma, stranamente, la critica scivola su alcuni fatti in realtà ben comprovati documentalmente. Ad esempio è ben poco considerato l’apporto nella sua formazione artistica del lungo viaggio compiuto nei territori italiani tra il 1855 ed il 1858. Ed anche non si trova riscontro, negli scritti a lui dedicati, del fatto che egli con certezza parlava l’italiano altrettanto che il francese, essendo ambedue questi linguaggi nelle competenze del padre, Pierre Auguste Hiacynthe Degas, nato a Napoli nel 1807 da madre italiana.

Questi due dettagli mi paiono decisivi per la formazione giovanile dell’Artista ed altresì per comprendere appieno la portata del periodo di formazione in Italia nel corso dell’intera vita dell’uomo e dell’artista.

Molte biografie riferiscono di studi artistici compiuti da Degas a Parigi all’Accademie, ma i dati documentali sono chiari, Edgar, come lo chiamavano in famiglia, evitando il primo nome, Hilaire, che avrebbe ingenerato confusioni col nonno paterno, non resiste che pochi mesi alle lezioni dell’Accademie a Parigi, e parte subito per l’Italia dove è atteso dal Nonno e da una grande famiglia.

La prima tappa del viaggio è Napoli, dove gli zii, le zie ed i cugini, Morbilli e Cicerale lo attendono col Nonno Hilaire. Soggiorna d’estate nella villa di Capodimonte e poi raggiunge Roma dove conta di approfondire gli studi con la frequenza alle lezioni di Villa Giulia. A Roma fa amicizia con altri artisti francesi e italiani, ma il soggiorno è interrotto da una lettera del Nonno che lo richiama a Napoli, sta male, le prime avvisaglie della malattia che lo condurrà alla morte, e vuole accanto l’amato nipote, il primo maschio della nuova generazione della casata, quello che ne perpetua il cognome ed anche il nome.

Nei due soggiorni presso il Nonno l’Artista realizza due ritratti del vecchio gentiluomo, uno a colori a figura intera, elegantemente vestito, seduto su di un divano nella villa di Capodimonte, il secondo, del solo volto, tracciato sulla carta con la sanguigna.

Terminato il lungo soggiorno romano, intervallato anche da spostamenti per conoscere località che destavano l’interesse del giovane Artista: Viterbo, Siena, Orvieto, Assisi, dove l’incontro con Giotto è drammatico, di grande potenza evocativa; egli risale la penisola e la tappa di Firenze è obbligata.

Non solo l’arte lo attende in questa città, ma anche la zia Laure col marito Gennaro Bellelli, esule politico antiborbonico, e le loro due figlie Giovanna e Giulia.

La famiglia Bellelli dimora in Piazza Maria Antonia, nei nuovi palazzi appena costruiti con l’ampiamento entro le mura, dell’abitativo nel cosiddetto “Orto del Barbano”. Nel nuovo quartiere dimora Cristiano Banti, noto pittore, frequentatore del gruppo della “macchia”, aperto alle nuove conoscenze di artisti, anfitrione in città di Boldini e di Saverio Altamura, quest’ultimo anch’egli, abitante nel Barbano. Tra le altre amicizie di Degas a Firenze, anche grazie alla frequentazione del “Caffè Michelangelo”, quella con Diego Martelli, teorico e storico del gruppo dei macchiaioli, discendente da un’antica famiglia fiorentina, amicizia che si consoliderà con i soggiorni parigini di Martelli e che culminerà con il ritratto a olio dell’amico, eseguito da Degas nel 1879.

Telemaco Signorini ricorda Degas come assiduo frequentatore e attivo partecipante al dibattito artistico sulle tematiche della luce e dell’ombra che si svolgeva al “Caffè Michelangelo”. Questa testimonianza ci assicura definitivamente della padronanza che Degas aveva della lingua italiana, e di conseguenza comprendere come il lungo tempo del viaggio in Italia sia stato interamente vissuto dall’uomo e dal pittore. L’importanza di questo viaggio e l’esperienza ad esso legata rimarranno un bagaglio umano e culturale per l’intera vita dell’artista.

 

Durante il soggiorno fiorentino, che inizia nell’estate del 1858, la mente del pittore è sempre più impegnata dall’idea di eseguire un grande dipinto che metta insieme i “ricordi” di quel tour, ricordi che sono artistici e sentimentali, che riguardano la sua personale ricerca interiore di giovane uomo, così come le ricerche gli studi artistici, un dipinto che nasce e che sarà capolavoro riconosciuto dell’età giovanile del pittore.

Per questo dipinto Degas compirà cento disegni preparatori, che stanno a dimostrarne l’importanza fondamentale dell’opera non solo nel curriculum dell’artista ma anche nella sua vita, un dipinto da cui non si separerà mai e che rimarrà nel suo studio fino alla sua morte.

Cristiano Banti che vede il dipinto in una fase iniziale ne è così colpito da citare come riferimento Van Dick per la potenza evocativa della figura principale, cioè quella della Zia Laure.

Nei taccuini di Degas di quel periodo troviamo un’annotazione sul dipinto che andava componendosi nella sua mente: “Ho varie idee per lo sfondo. Vorrei ottenere una certa grazia naturale assieme ad una nobiltà che non riesco bene a definire.”

Quest’opera, “Il Ritratto della Famiglia Bellelli”, sarà completata solo nel 1867 dopo un lungo e lento lavoro nello studio parigino del pittore. Il dipinto, il più grande che Degas abbia mai realizzato, due metri per due metri e mezzo, raffigura il salotto borghese della famiglia Bellelli con i componenti della famiglia tutti presenti, la scena è interamente dominata dalla tonalità azzurra della tappezzeria che vuole essere uno sfondo “positivo” ad una scena che, già al primo sguardo, rivela forti tensioni.

Ciò che qualunque riguardante nota subitaneamente è l’innegabile realtà che i quattro protagonisti non si guardano tra loro né guardano l’artista che li ritrae. Il primo pensiero, pertanto, sarebbe di credere che non corressero buoni rapporti tra i soggetti ed il pittore. Ma questo è smentito dalla corrispondenza epistolare tra la zia ed il nipote, che anzi mostra tra loro una piena confidenza e comprensione. Anche le due bambine, sono protagoniste di tenere osservazioni, riportate nei taccuini, da parte di Degas, che ci informa di quegli affettuosi rapporti che sempre intercorreranno tra Edgar Degas e le cugine Bellelli, che saranno soggetto, nel corso della loro vita, di molte opere del cugino, sia in coppia che singolarmente.

Le quattro figure umane occupano in orizzontale la superficie del quadro, quasi per un orror vacui che    non voglia spazi trascurati. Da sinistra verso destra troviamo per prima Giovanna, l’unica che guarda davanti, quasi a guidare il riguardante nella scena. Alla serenità dipinta nel volto di questa bimba saggia      fa contrasto la mano della madre che, saldamente posata sulla spalla della figlia, sembra rivendicarne il possesso o quantomeno la solidarietà femminile così potente quando corre di madre in figlia. Un quinto componente della famiglia è ritratto nel dipinto, il cagnolino che, forse tediato da quella riunione muta e astiosa, sta allontanandosi verso destra, anzi la sua testa è già fuori dalla tela, quasi come se il dipinto fosse un’istantanea fotografica.

Così come i componenti della famiglia occupano lo spazio in larghezza del dipinto, così, verticalmente          la tela presenta non meno di sei “partiture” verticali che, similmente a quinte teatrali, rendono profondità ad uno spazio solo all’apparenza bidimensionale.                                                                                                               Da sinistra, prima dello stretto movimento che avvicina madre e figlia, si intravvede una porta con una finestra appena accennata che pare essere una delle fonti di luce del dipinto. La parete che inizia dopo questa apertura è alle spalle della protagonista principale, Laure Degas che, completamente vestita a lutto, occupa una parte centrale del dipinto con l’incedere di un’eroina tragica. Anche le due bimbe sono vestite con abiti neri, sottolineati dai grembiuli candidi, opulenti, le bimbe creano due pause, grazie a quel bianco, nella durezza sentimentale del dipinto. Le bimbe sembrano poter lenire con la loro partecipazione emotiva ed affettiva il dolore della madre che è legato tanto alla scomparsa del padre che alle tribolazioni dalla vita coniugale.

Giulia, è immortalata in un atteggiamento distratto, tipico dei bimbi stanchi della lunghezza della posa, col corpo  non tocca la madre e, anzi, pare protesa verso il padre che, appena volto a sinistra, ne guarda  i bizzarri movimenti. Egli, posto all’estrema destra del dipinto, è seduto su di una poltrona nera, forse simboleggiante il suo esilio, quasi inglobato nel camino sovrastato da una specchiera che definisce la profondità della stanza anche attraverso il riflesso di una porta aperta su di un altro ambiente che      mostra una finestra con la tenda mossa dall’aria.

Al centro esatto della composizione, stagliato sulla tappezzeria azzurra, evidenziato da una doppia incorniciatura dorata, campeggia il ritratto, a sanguigna, di Hilaire Degas, dalle cui esequie è appena rientrata a Firenze la Figlia.

E’ facile intuire appena riflettendo che, con l’effigie del Nonno, il dipinto è anche un ritratto della famiglia Degas, almeno di una sua parte molto unita, cioè quella composta dal padre, dalla figlia prediletta ,dalle    sue due figlie e del nipote che porta il suo nome e che è l’autore del dipinto.

I due Hilaire, nonno e nipote, sono idealmente uno difronte all’altro, uno al centro della scena da dipingere e l’altro al cavalletto intento a dipingere.

Al di là di ogni pensiero formulato e formulabile è certo che la dimensione del dipinto fa immediatamente pensare ad un’opera destinata ad essere mostrata, ma certo, prima del 1917, fu vista da un numero molto limitato di persone.

Potrebbe essere successo che, dopo aver progettato il dipinto l’interruzione delle pose, dovuta all’allontanamento di Laure per Napoli a causa della morte del padre, abbia portato il giovane pittore, che col nonno aveva un rapporto affettivo privilegiato, ad inserire quel ritratto al centro della tela, e con un “gioco di specchi” moltiplicato i significati del dipinto ben otre il titolo ufficiale. E che questo coinvolgimento affettivo tra l’artista ed il dipinto sia stato la causa della perdurata permanenza dell’opera nell’atelier del pittore.

E’ infine da rilevare che oltre a quella di Telemaco Signorini esistono ulteriori testimonianze della padronanza della lingua italiana da parte di Degas, esse  ci provengono addirittura da Paul Gauguin che, come ricordano molte fonti, ebbe a dire che Degas: “… prediligeva la compagnia dei pittori italiani come Boldini, Zandomeneghi, De Nittis, a quella dei buoni pittori impressionisti francesi.”                                                

Ancor più colorita e simpatica è la testimonianza fornitaci dai membri del “Club dei Polentoni”, associazione fondata da italiani a Parigi che raggruppava amanti di quel cibo ma anche appassionati di musica lirica; di questo gruppo facevano parte numerosi artisti e letterati francesi come Degas, Zola ed i fratelli Goncourt. Nelle relazioni di alcune riunioni ufficiali di questi adepti, a base di polenta e conversazioni musicali d’opera, è menzionata la viva partecipazione di Degas ai conviti tanto da cantare non solo arie italiane ma anche canzoni Napoletane in lingua partenopea che certo aveva appreso nei tanti soggiorni nella capitale Borbonica presso la sua famiglia di origine.

Edgar Degas, grande esponente della pittura di tutti i tempi, aveva nelle sue vene sangue italiano, pertanto noi italiani possiamo capire più a fondo la sua Arte e avere un motivo in più per amarlo ed ammirarlo.

 

Firenze, 20  Aprile  2017                                                                                                      Emanuela Catalano

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